Ue, Area Schengen per le forze Nato
Il Piano d’azione è stato deciso
in realtà non dalla Ue, ma dal Pentagono e dalla Nato.
Nel 2015, il generale Ben Hodges, comandante
delle forze terrestri Usa in Europa (U.S. Army Europe), ha richiesto
l’istituzione di «un’Area Schengen militare» così che le forze Usa, per
fronteggiare «l’aggressione russa», possano muoversi con la massima rapidità da
un paese europeo all’altro, senza essere rallentate da regolamenti nazionali e
procedure doganali.
Tale richiesta è stata fatta
propria dalla Nato: il Consiglio Nord Atlantico, riunitosi l’8 novembre 2017 a livello di ministri
della Difesa, ha chiesto ufficialmente all’Unione europea di «applicare
legislazioni nazionali che facilitino il passaggio di forze militari attraverso
le frontiere» e, allo stesso tempo, di «migliorare le infrastrutture civili
così che siano adattate alle esigenze militari».
Il 15 febbraio 2018, il Consiglio
Nord Atlantico a livello di ministri della Difesa ha annunciato la costituzione
di un nuovo Comando logistico Nato per «migliorare il movimento in Europa di
truppe ed equipaggiamenti essenziali alla difesa».
Poco più di un mese dopo, l’Unione
europea ha presentato il Piano d’azione sulla mobilità militare, che risponde
esattamente ai requisiti stabiliti dal Pentagono e dalla Nato. Esso prevede di
«semplificare le formalità doganali per le operazioni militari e il trasporto
di merci pericolose di tipo militare».
Si prepara così «l’Area Schengen
militare», con la differenza che a circolare liberamente non sono persone ma
carrarmati. Movimentare carrarmati e altri mezzi militari su strada e per
ferrovia non è però lo stessa cosa che farvi circolare normali autoveicoli e
treni.
Si devono perciò rimuovere «le
esistenti barriere alla mobilità militare», modificando «le infrastrutture non
adatte al peso o alle dimensioni dei mezzi militari, in particolare ponti e
ferrovie con insufficiente capacità di carico». Ad esempio, se un ponte non è
in grado di reggere il peso di una colonna di carrarmati, dovrà essere
rafforzato o ricostruito.
La Commissione europea
«individuerà le parti della rete trans-europea dei trasporti adatte al
trasporto militare, stabilendo le necessarie modifiche». Esse dovranno essere
effettuate lungo decine di migliaia di chilometri della rete stradale e
ferroviaria. Ciò richiederà una enorme spesa a carico dei paesi membri, con un
«possibile contributo finanziario Ue per tali opere».
Saremo comunque sempre noi
cittadini europei a pagare queste «grandi opere», inutili per usi civili, con
conseguenti tagli alle spese sociali e agli investimenti in opere di pubblica
utilità. In Italia, dove scarseggiano i fondi per la ricostruzione delle zone
terremotate, si dovranno spendere miliardi di euro per ricostruire
infrastrutture adatte alla mobilità militare.
I 27 paesi della Ue, 21 dei quali
appartengono alla Nato, vengono ora chiamati ad esaminare il Piano. L’Italia
avrebbe quindi la possibilità di respingerlo.
Questo però significherebbe, per
il prossimo governo, opporsi non solo alla Ue ma alla Nato sotto comando Usa,
cominciando a sganciarsi dalla strategia che, con l’invenzione della minaccia
russa, prepara la guerra, questa sì vera, contro la Russia. Sarebbe una
decisione politica fondamentale per il nostro paese ma, data la sudditanza agli
Usa, resta nel regno della fantapolitica.
di Manlio Dinucci
il manifesto, 3 aprile 2018
Nessun commento:
Posta un commento