Il Tavolo per la Pace della Val di Cecina è una esperienza di coordinamento e di confronto tra tutte le organizzazioni che operano per promuovere la pace, i diritti umani e la solidarietà.
Non basta partecipare a una cena raccolta fondi ma può aiutare
chi ogni giorno si batte per promuovere la cultura della pace. E il 7 aprile
diverse associazioni saranno impegnate a Firenze presso il Teatro Odeon per il
Convegno internazionale dal titolo “I 70
ANNI DELLA NATO:QUALE BILANCIO STORICO?USCIRE DAL SISTEMA DI GUERRA, ORA.
Insieme al Tavolo per la Pace della val di Cecina ci sono l’
Associazione per un mondo senza guerre, il Comitato No Guerra No Nato, Pax
Christi Italia, Commissione Giustizia e Pace dei Missionari Comboniani,
Rivista/Sito Marx21, Sezione Italiana della WILPF (Lega Internazionale Donne
per la Pace e la Libertà), e altre associazioni la cui adesione è in corso. Nel
nostro territorio, per contribuire all’organizzazione del convegno di Firenze
il Tavolo per la Pace e la Parrocchia di San Giovanni Evangelista di Riparbella
organizzano una cena raccolta fondidomenica 31 marzo alle ore 20 presso l’Area
delle Feste a Riparbella, gestita dalla Pro Loco locale. Sono chiaramente
invitate a partecipare tutte le persone che ritengono doveroso contribuire ad
una iniziativa a valenza internazionale, dati i nomi che sono previsti in
cartellone: Michel Chossudovsky, Alex Zanotelli, Gino Strada, Franco Cardini,
Giulietto Chiesa, Manlio Dinucci ed altri che interverranno nella giornata di
domenica a Firenze dalle ore 10 alle ore 18. Una bella opportunità per fare un
bilancio di 70 anni dalla nascita della NATO che anziché portare pace, siamo
ormai certi che sia stato un trampolino di lancio per guerre passate, presenti
e purtroppo, noi crediamo, future.
Segreteria
Tavolo per la Pace della val di Cecina
Comune di
Castagneto Carducci (LI)
Via della
Repubblica 15/B
Tel 0565
778276 - Fax 0565 763845 - cell. 3332526023
Firenze: la rete tra attivisti e giornalisti avanza e fa proposte
Prosegue il percorso di Giornalisti indipendenti ed
attivisti. L’incontro del 10 Marzo a Firenze era una delle tappe tra le
principali città italiane, che confluiranno infine in un evento nazionale sabato 6 e domenica 7 aprile 2019 al Monastero del Bene
Comune di Sezano (Verona), in cui si tireranno le somme del percorso
fatto, si organizzeranno gruppi di lavoro e si lanceranno i passi successivi, una
rete a cui aderisce il Tavolo per la Pace della Val di Cecina.
L’incontro toscano si è tenuto,
come avevamo preannunciato con questo
articolosul
nostro blog, Domenica al Circolo ARCI di Via delle Porte Nuove a Firenze.
E’ il terzo incontro promosso da Pressenza “Giornalisti indipendenti e
attivisti: l’urgenza di fare rete”.
Una rappresentanza valida di
attivisti e giornalisti venuti da vari punti della Toscana ha prima
interscambiato e commentato e poi si è riunita in gruppi di lavoro che hanno
affrontato i conflitti e cominciato a proporre soluzioni, nell’ottica di
costruzione di questa rete ed anche dell’incontro nazionale che si svolgerà il
6 e 7 aprile al Monastero del Bene Comune, a Sezano (Verona).
Sul piano dell’analisi è emersa la
grande crisi del sistema mediatico in generale e la necessità di ripensare il
giornalismo e i giornalisti in termini nuovi; la difficoltà degli attivisti a
comunicare con i media di qualunque tipo (anche con quelli cosiddetti
“alternativi”) e a riconoscere nel giornalista non un antagonista ma un
alleato; l’impoverimento e l’appiattimento dell’informazione trasformata in
propaganda o condizionata da poteri forti; la necessità di strumenti adeguati e
condivisi, di dare attributi “intangibili” a questa rete come la reciprocità,
la circolarità, l’intelligenza collettiva, superando individualismi e
personalismi; l’importanza di sviluppare canali informativi multimediali, che
usano intelligentemente i social networks.
Sul piano pratico sono emerse
alcune proposte concrete da condividere e approfondire con tutti i membri
della rete: la possibilità di una pubblicazione (mensile gratuito?) che arrivi
nei luoghi pubblici di tutta Italia veicolando un’informazione “popolare”, non
banalizzata, documentata; la creazione di un database ragionato condiviso dove
accedere a informazioni non facilmente disponibili; creazione di pacchetti RSS
informativi tematici sia per giornalisti che per i lettori; incentivi per
giovani produttori di informazione “in pillole” ma non banalizzata (video di 30
secondi, per es.).
Gli Stati Uniti non intendono più
considerare gli alleati alla stregua di protettorati e chiedono loro di pagare
il costo della protezione. Se rifiuteranno, gli USA si ritireranno. È quanto ha
annunciato al Pentagono il presidente Trump il 17 gennaio e che è stato
presentato alla NATO a febbraio, ma reso pubblico soltanto questa settimana.
Una decisione che riguarda tutti gli alleati, dalla Germania al Giappone. Il
problema è che Washington chiede agli alleati di allinearsi alle proprie
posizioni… come facevano da protettorati.
A pretendere il pizzo in cambio di
«protezione» non è solo la mafia. «I paesi ricchi che stiamo proteggendo – ha
avvertito minacciosamente Trump in un discorso al Pentagono – sono tutti
avvisati: dovranno pagare la nostra protezione».
Il presidente Trump – rivela Bloomberg
– sta per presentare il piano «Cost Plus 50» che stabilisce il seguente
criterio: i paesi alleati che ospitano forze Usa sul proprio territorio ne
dovranno coprire interamente il costo e pagare agli Usa un ulteriore 50% in
cambio del «privilegio» di ospitarle ed essere così da loro «protetti».
Il piano prevede che i paesi
ospitanti paghino anche gli stipendi dei militari Usa e i costi di gestione
degli aerei e delle navi da guerra che gli Stati uniti tengono in questi paesi.
L’Italia dovrebbe quindi pagare non solo gli stipendi di circa 12.000 militari
Usa qui di stanza, ma anche i costi di gestione dei caccia F-16 e degli altri
aerei schierati dagli Usa ad Aviano e Sigonella e i costi della Sesta Flotta
basata a Gaeta. Secondo lo stesso criterio dovremmo pagare anche la gestione di
Camp Darby, il più grande arsenale Usa fuori dalla madrepatria, e la
manutenzione delle bombe nucleari Usa dislocate ad Aviano e Ghedi.
Non si sa quanto gli Stati uniti
intendono chiedere all’Italia e agli altri paesi europei che ospitano loro
forze militari, poiché non si sa neppure quanto questi paesi paghino
attualmente. I dati sono coperti da segreto militare. Secondo uno studio della
Rand Corporation, i paesi europei della Nato si addossano in media il 34% dei
costi delle forze e basi Usa presenti sui loro territori.
Non si sa però quale sia l’importo
annuo che essi pagano agli Usa: l’unica stima – 2,5 miliardi di dollari –
risale a 17 anni fa. È dunque segreta anche la cifra pagata dall’Italia. Se ne
conoscono solo alcune voci: ad esempio decine di milioni di euro per adeguare
gli aeroporti di Aviano e Ghedi ai caccia statunitensi F-35 e alle nuove bombe
nucleari B61-12 che gli Usa cominceranno a schierare in Italia nel 2020, e
circa 100 milioni per lavori alla stazione aeronavale statunitense di
Sigonella, a carico anche dell’Italia. A Sigonella viene finanziata
esclusivamente dagli Usa solo la
Nas I, l’area amministrativa e ricreativa, mentre la Nas II, quella dei reparti
operativi e quindi la più costosa, è finanziata dalla Nato, ossia anche
dall’Italia.
È comunque certo – prevede un
ricercatore della Rand Corp. – che con il piano «Cost Plus 50» i costi per gli
alleati «schizzeranno alle stelle». Si parla di un aumento del 600%. Essi si aggiungeranno
alla spesa militare, che in Italia ammonta a circa 70 milioni di euro al
giorno, destinati a salire a circa 100 secondo gli impegni assunti dai governi
italiani in sede Nato. Si tratta di denaro pubblico, che esce dalle nostre
tasche, sottratto a investimenti produttivi e spese sociali.
È possibile però che l’Italia
possa pagare meno per le forze e basi Usa dislocate sul suo territorio. Il
piano «Cost Plus 50» prevede infatti uno «sconto per buon comportamento» a favore
degli «alleati che si allineano strettamente con gli Stati uniti, facendo ciò
che essi chiedono».
È sicuro che l’Italia godrà di un
forte sconto poiché, di governo in governo, si è sempre mantenuta nella scia
degli Stati uniti. Ultimamente, inviando truppe e aerei da guerra nell’Est
Europa con la motivazione di fronteggiare la «minaccia russa» e favorendo il
piano statunitense di affossare il Trattato Inf per schierare in Europa, Italia
compresa, postazioni di missili nucleari puntati sulla Russia. Essendo queste
bersaglio di una possibile ritorsione, avremo bisogno come «protezione» di
altre forze e basi Usa. Le dovremo pagare noi, ma sempre con lo sconto.
Alla fine il presidente Trump si è allineato alle
ambizioni dello Stato Profondo USA di distruzione del Bacino dei Caraibi. Trump
ha supportato il vicepresidente Mike Pence e il senatore Marco Rubio nelle
operazioni di destabilizzazione del Venezuela. Potrebbe sostenerli anche nel
progetto a favore d’Israele e contro la Siria.
Il riconoscimento di Juan Gualdó come «legittimo
presidente» del Venezuela è stato preparato in una cabina di regia sotterranea
all’interno del Congresso e della Casa Bianca. Principale operatore è il
senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, «virtuale segretario di stato
per l’America Latina, collegato al vicepresidente Mike Pence e al consigliere
per la sicurezza nazionale John Bolton.
L’annuncio del presidente Trump, che riconosce Juan Gualdó
«legittimo presidente» del Venezuela è stato preparato in una cabina di regia
sotterranea all’interno del Congresso e della Casa Bianca. La descrive
dettagliatamente il New York Times.
Principale operatore è il senatore repubblicano della
Florida Marco Rubio, «virtuale segretario di stato per l’America Latina, che
guida e articola la strategia dell’Amministrazione nella regione», collegato al
vicepresidente Mike Pence e al consigliere per la sicurezza nazionale John
Bolton. Il 22 gennaio, alla Casa Bianca, i tre hanno presentato il loro piano
al presidente, che l’ha accettato. Subito dopo – riporta il New York Times
– «Mr. Pence ha chiamato Mr. Gualdó e gli ha detto che gli Stati uniti lo
avrebbero appoggiato se avesse reclamato la presidenza».
Il vicepresidente Pence ha poi diffuso in Venezuela un
video messaggio in cui chiamava i dimostranti a «far sentire la vostra voce
domani» e assicurava «a nome del presidente Trump e del popolo americano:
«estamos con ustedes», siamo con voi finché non sarà restaurata la democrazia,
definendo Maduro «un dittatore che mai ha ottenuto la presidenza in libere
elezioni».
L’indomani Trump ha ufficialmente incoronato Guaidó
«presidente del Venezuela», pur non avendo questi partecipato alle elezioni
presidenziali del maggio 2018 le quali, boicottate dall’opposizione che sapeva
di perderle, hanno decretato la vittoria di Maduro, con il monitoraggio di
molti osservatori internazionali.
Tale retroscena rivela che le decisioni politiche vengono
prese negli Usa anzitutto nello «Stato profondo», centro sotterraneo del potere
reale detenuto dalle oligarchie economiche, finanziarie e militari. Sono queste
che hanno deciso di sovvertire lo Stato venezuelano. Esso possiede, oltre a
grandi riserve di preziosi minerali, le maggiori riserve petrolifere del mondo,
stimate in oltre 300 miliardi di barili, sei volte superiori a quelle
statunitensi.
Per sottrarsi alla stretta delle sanzioni, che impediscono
al Venezuela perfino di incassare i dollari ricavati dalla vendita di petrolio
agli Stati uniti, Caracas ha deciso di quotare il prezzo di vendita del
petrolio non più in dollari Usa ma in yuan cinesi. Mossa che mette in pericolo
lo strapotere dei petrodollari. Da qui la decisione delle oligarchie
statunitensi di accelerare i tempi per sovvertire lo Stato venezuelano e
impadronirsi della sua ricchezza petrolifera, necessaria immediatamente non
quale fonte emergetica per gli Usa, ma quale strumento strategico di controllo
del mercato energetico mondiale in funzione anti-Russia e anti-Cina. A tal
fine, attraverso sanzioni e sabotaggi, è stata aggravata in Venezuela la
penuria di beni di prima necessità per alimentare il malcontento popolare.
È stata intensificata allo stesso tempo la penetrazione di
«organizzazioni non-governative» Usa: ad esempio, la National Endowment for
Democracy ha finanziato in un anno in Venezuela oltre 40 progetti sulla «difesa
dei diritti umani e della democrazia», ciascuno con decine o centinaia di
migliaia di dollari.
Poiché il governo continua ad avere l‘appoggio della
maggioranza, è certamente in preparazione qualche grossa provocazione per
scatenare all’interno la guerra civile e aprire la strada a un intervento dall’esterno.
Complice l’Unione Europea che, dopo aver bloccato in Belgio fondi statali
venezuelani per 1,2 miliardi di dollari, lancia a Caracas l’ultimatum
(concordato col governo italiano) per nuove elezioni. Le andrebbe a monitorare
Federica Mogherini, la stessa che l’anno scorso ha rifiutato l’invito di Maduro
di andare a monitorare le elezioni presidenziali.
Manlio Dinucci su "Il Manifesto"
PTV News Speciale - John Pilger: "La guerra in
Venezuela è costruita su una bugia"
John Pilger passa in rassegna gli anni di Chavez
in Venezuela, inclusi i suoi stessi viaggi assieme a Hugo Chavez e l'attuale
campagna statunitense ed europea per rovesciare Nicolas Maduro tramite "un
colpo di stato mediatico", per far riprecipitare l'America Latina ai tempi
del diciannovesimo e ventesimo secolo.
La notizia non è ufficiale ma già se ne parla: da
ottobre su Camp Darby sventolerà il tricolore. Gli Stati uniti stanno per
chiudere il loro più grande arsenale nel mondo fuori dalla madrepatria,
restituendo all’Italia i circa 1000 ettari di territorio che occupano tra Pisa
e Livorno? Niente affatto. Non stanno chiudendo, ma ristrutturando la base
perché vi possano essere stoccate ancora più armi e per potenziare i
collegamenti col porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa.
Nella ristrutturazione restava inutilizzata una
porzioncina dell’area ricreativa: 34 ettari, poco più del 3% dell’intera area. È
questa che lo US Army Europe ha deciso di restituire all’Italia, più
precisamente al Ministero italiano della Difesa, per farne il miglior uso
possibile.
È stato così stipulato un accordo che prevede il
trasferimento in quest’area del Comando delle forze speciali dell’esercito
italiano (Comfose) attualmente ospitato nella caserma Gamerra di Pisa, sede del
Centro addestramento paracadutismo.
Sono le forze sempre più impiegate nelle operazioni
coperte: si infiltrano nottetempo in territorio straniero, individuano gli
obiettivi da colpire, li eliminano con un‘azione fulminea paracadutandosi dagli
aerei o calandosi dagli elicotteri, quindi si ritirano senza lasciare traccia
salvo i morti e le distruzioni.
L’Italia, che le aveva usate soprattutto in
Afghanistan, ha fatto un decisivo passo avanti nel loro potenziamento quando,
nel 2014, è divenuto operativo il Comfose che riunisce sotto comando unificato
quattro reggimenti: il 9° Reggimento d’assalto Col Moschin e il 185° Reggimento
acquisizione obiettivi Folgore, il 28° Reggimento comunicazioni Pavia e il 4°
Reggimento alpini paracadutisti Rangers.
Nella cerimonia inaugurale nel 2014 fu annunciato
che il Comfose avrebbe mantenuto un «collegamento costante con lo U.S. Army
Special Operation Command», il più importante comando statunitense per le
operazioni speciali formato da circa 30 mila specialisti impiegati soprattutto
in Medio Oriente.
A Camp Darby – ha specificato l’anno scorso il
colonnello Erik Berdy, comandante dello US Army Italy – già si svolgono
addestramenti congiunti di militari statunitensi e italiani.
Il trasferimento del Comfose in un’area di Camp
Darby, formalmente appartenente all’Italia, permetterà di integrare a tutti gli
effetti le forze speciali italiane con quelle statunitensi, impiegandole in
operazioni coperte sotto comando Usa. Il tutto sotto la cappa del segreto
militare.
Non può non venire a mente, a questo punto, la
storia delle operazioni segrete di Camp Darby: dalle inchieste dei giudici
Casson e Mastelloni è emerso che Camp Darby ha svolto sin dagli anni Sessanta
la funzione di base della rete golpista costituita dalla Cia e dal Sifar nel
quadro del piano segreto Gladio.
Le basi Usa/Nato – scriveva Ferdinando Imposimato,
presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione – hanno fornito gli
esplosivi per le stragi, da Piazza Fontana a Capaci e Via d’Amelio. In queste basi
«si riunivano terroristi neri, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici
italiani e massoni, alla vigilia di attentati».
Nessuno però, né in parlamento né negli enti
locali, si preoccupa delle implicazioni del trasferimento delle forze speciali
italiane di fatto all’interno di Camp Darby sotto comando Usa. I comuni di Pisa
e Livorno, passati rispettivamente dal Pd alla Lega e al M5S, hanno continuato
a promuovere, con la Regione Toscana, «l’integrazione tra la base militare Usa
di Camp Darby e la comunità circostante».
Pochi giorni fa è stato deciso di integrare i siti
Web delle amministrazioni locali con quelli di Camp Darby. La rete di Camp
Darby si estende sempre più sul territorio.
INVITO AL CONVEGNO INTERNAZIONALE PER IL 70° DELLA NATO
Consapevoli della crescente
pericolosità della situazione mondiale, della drammaticità dei conflitti in
atto, della accelerazione della crisi, riteniamo che sia necessario far
comprendere all'opinione pubblica e ai parlamenti il rischio esistente di una
grande guerra.
Essa non sarebbe in alcun modo
simile alle guerre mondiali che l'hanno preceduta e, con l’uso delle armi
nucleari e altre armi di distruzione di massa, metterebbe a repentaglio
l’esistenza stessa dell’Umanità e del Pianeta Terra, la Casa Comune in cui
viviamo.
Il pericolo non è mai stato così
grande e così vicino. Non si può rischiare, bisogna moltiplicare gli sforzi per
uscire dal sistema di guerra.
Discutiamone
al
Convegno
internazionale
I
70 ANNI DELLA NATO: QUALE BILANCIO STORICO?
USCIRE
DAL SISTEMA DI GUERRA, ORA.
Firenze,
Domenica 7 Aprile 2019
CINEMA
TEATRO ODEON
Piazza
Strozzi
ORE
10:15 – 18:00
Tra
i relatori:
Michel Chossudovsky,
direttore del Centre for Research on Globalization(Global Research, Canada).
Gino Strada, fondatore di Emergency.
Alex Zanotelli, missionario comboniano.
Franco Cardini, storico.
Generale Fabio Mini.
Tommaso Di Francesco, condirettore de il manifesto.
Giulietto Chiesa, direttore di Pandora TV.
Manlio Dinucci, giornalista.
PROIEZIONE
DI DOCUMENTAZIONI VIDEO
E
VIDEOMESSAGGI
PROGRAMMA:
VIDEO:
-I 70 anni di
«pace» assicurati dalla Nato
RELAZIONI
INTRODUTTIVE:
- L’Europa nella strategia Usa/Nato 1949 /
2019
- Verso uno scenario di Terza guerra
mondiale
TAVOLE
ROTONDE:
- Jugoslavia: 20 anni fa la guerra fondante
della nuova Nato
- I due fronti della Nato ad Est e a Sud
- L’Europa in prima linea nel confronto
nucleare
- Cultura di pace o cultura di guerra?
MICROFONO
APERTO AL PUBBLICO PER
LE CONCLUSIONI
Promotori:
ASSOCIAZIONE
PER UN MONDO SENZA GUERRE
Comitato
No Guerra No Nato / Global Research
in
collaborazione con
Pax
Christi Italia, Commissione Giustizia e Pace dei Missionari Comboniani,
Rivista/Sito Marx21, Sezione Italiana della WILPF (Lega Internazionale Donne
per la Pace e la Libertà), Tavolo per la Pace della Val di Cecina e
altre associazioni la cui adesione è in corso.
PER
PARTECIPARE AL CONVEGNO (AD INGRESSO LIBERO)
OCCORRE
PRENOTARSI COMUNICANDO VIA EMAIL O TELEFONO